domenica 18 settembre 2011

L'assedio di Braccio da Montone

(da Le 100 Citta' d'Italia 1920 circa)

Poco dopo il principio del secolo XV una dura prova attendeva l'Aquila. Braccio da Montone, quegli che ebbe fama di essere il più grande condottiero del secolo XV, era stato nominato dalla Regina Gio­vanna I governatore degli Abruzzi. Ma l'ambizione del venturiero non era paga; egli aspirava alla si­gnoria dell'Aquila e, seguendo l'esempio di ciò che altri avevano operato ed operavano, provocò una guerra con questa città. La Regina Giovanna chiamò allora al suo servizio Attendolo Sforza, perchè gli si opponesse : così questa guerra perdeva il suo origi­nario valore di fazione di conquista, per acquistare un importanza più che regionale, nazionale. In fatti, come i due partiti militari Sforzeschi e Bracceschi, si trovavano a fronte, così si cimentavano i due princìpi dell'indipendenza comunale da un lato, della prepon­deranza militare dell'altro, e questa tenzone era per produrre effetti vari e notevoli. L'Aquila rimase as­sediata da Braccio per più di un anno; gli aiuti della Regina Giovanna andarono perduti, poiché lo Sforza,  nel venire in soccorso all'Aquila, si era annegato nel Pescara. Sembrava, per le condizioni di vita che si facevano ogni giorno più tristi,  che da un momento all'altro la città, in cui non erano rimasti se non gli uomini   atti  alla   difesa,   dovesse   capitolare,   quando gli Aquilani guidati da Antonuccio Camponeschi, nobile figura di cittadino e di soldato, assalirono l'eser­cito Braccesco e lo sconfissero. L'Aquila fu salva : ; Braccio morì di ferite due giorni dopo quest'ultima in una     mischia.   Così   questa   guerra   per  l'Aquila   costò   la vita   dei  due  più  grandi  condottieri   del   secolo XV. E questa l'epoca in cui la città raggiunse il massimo del suo splendore. Benché legata strettamente alle sorti   mutevoli  del   Regno  di   Napoli,   di   questo   non subiva il dominio, ma godeva la protezione; nelle lotte  per la corona del reame l'Aquila seguì  or le sorti di un  competitore,  ora dell'altro,  sempre Conseguendo nuovi privilegi e crescendo in fama ed in potenza, fino a divenire, dopo Napoli, la più impor­tante città del Regno.
La ragione di questo specialissimo trattamento che veniva fatto all'Aquila dai re Svevi ed Angioini deve ritrovarsi e nella situazione munita ed importantissima di essa che, nata città di difesa, divenne inconquista­bile per provvido destino ai suoi stessi dominatori, e nella natura democratica del suo reggimento, la quale ai Re offriva un saldo appoggio contro il par­tito feudale, ai popoli sicuro rifugio contro la signo­ria. Di più il contado circostante, di circa cento ca­stelli — forse gli antichi centri onde pel comando dell' imperatore erano mossi gli animosi fondatori della città nuova — e per l'antico vincolo di sangue che non s'era certo perduto ma, conservato, dal ve­tusto comune culto trasportato nella sede nuova, s'era rafforzato nelle recenti battaglie a difesa della libertà comunale contro la signoria. Per la saldezza delle istituzioni antiche che continuavano ad offrire garan­zia di pace e di lavoro, faceva suoi gl'interessi della città, contro la quale non era sorta e non doveva sor­gere competizione, non potendo nessun castello spe­rare lontanamente di eguagliarla in splendore. Tutto ciò faceva dell'Aquila e del contado un'unica civitas e impediva quegli attriti, quelle lotte, che riuscirono fatali ad altri comuni.
Estesi erano i suoi commerci di lana e di seta. I suoi cittadini avevano relazioni commerciali con Fi­renze, con Genova, e con Venezia ed anche con ricche città della Francia, dell'Olanda e della Ger­mania. Essa ebbe da Ferdinando d'Aragona nel 1458 il diritto di aprire una università degli studi, di co­niare monete di rame di argento e d'oro. Nel 1482 vi cominciò a funzionare una stamperia (una delle prime!) per opera di Adamo Rotwil, scolaro del Guttemberg. Vi furono stampati preziosi cimelii. Ancora in questo secolo vivevano all'Aquila ben treSanti; essi appartenevano tutti all'ordine di S. Fran­cesco, e furono S. Bernardino da Siena ed i suoi di­scepoli S. Giovanni da Capestrano e S. Giacomo della Marca. S. Bernardino da Siena, l'apostolo fran­cescano del secolo XV, trovò riposo nella chiesa in suo onore costrutta alcuni anni dopo la sua morte, che è tra i monumenti più insigni della città. San Giovanni da Capestrano, condottiero di una crociata, vinse la battaglia di Belgrado (1456), che tanta im­portanza ebbe per la salvezza dell'Europa dal pe­ricolo dei Turchi. Le varie arti ornarono la città di capolavori insigni di cui oggi moltissimi restano. L'Aquila fu un L'Aquila fu un centro artistico di primo ordine : quivi anche il Rinascimento ebbe a creare uno di quei ri­trovi di liberi spiriti e di fervidi ingegni che tanta in­fluenza ebbero sullo svolgimento della coscienza e della educazione nazionale. Fra i vari mecenati, che appoggiavano col loro fine intendimento artistico le più varie e degne manifestazioni d'arte, va ricordato Jacopo di Notar Nanni che visse sullo scorcio del secolo XV : molte insigni opere si debbono' alla sua scelta e alla sua cura.
Verso la fine di questo secolo (XV) tanto splendore però incominciò ad oscurarsi ed ebbe principio la decadenza. Costituitasi in Italia la dominazione spa­gnola, Aquila fece parte del vicereame di Napoli e ne seguì le sorti per sempre, perdendo ogni ultima traccia di libertà statutaria che, come si è visto, aveva trovato fino' allora terreno opportuno per conservarsi non ostante i tempi cambiati. Attraverso i lunghi anni della tirannide la città venne acquistando quell'aspetto severo, solitario e silenzioso che le è caratteristico. Unica sua forma imperitura di vita rimasero nei secoli le splendide opere d arte che la passione di tante generazioni aveva saputo creare, rispettate miracolo­samente dal tempo, a cui altre ancora dovevano aggiungere  qualche  secolo  più   tardi.
Nel   1529 a causa  del  mal  governo straniero  avvennero grandi disordini. Filiberto d'Orange, viceré di Napoli, si recò immediatamente all'Aquila e le impose una terribile taglia, per pagare la quale fu necessario il sacrificio di tutte le cose preziose che si trovavano nella città, comprese le oreficerie sacre e le casse di argento che contenevano le spoglie mortali di S. Bernardino e di S. Pietro Celestino. La città fu inoltre spogliata di ogni privilegio, e i castelli del contado furono assegnati a vari baroni del seguito dell'Orange. Di più fu imposta ai cittadini la fabbri­cazione, sulla parte più alta della città, del castello, sulla cui fronte fu scritto auguralmente « ad reprimen-dam Aquilanorum audaciam ».
I   primitivi   privilegi ed  i  diritti sul  contado le fu­rono restituiti  poi dall' imperatore Carlo  V,  ma più
formalmente che di fatto; essa non raggiunse mai lo splendore del secolo XV, non godè più dell autono­mia dei secoli scorsi e la sua storia è, da questo mo­mento,  la storia  del   Regno delle Due Sicilie.

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