lunedì 31 ottobre 2011

I Caduti di Cabbia e Cesaproba


A monte di tutto una precisazione : Avevo una Professoressa di Italiano che era messinese , una donna con una figura severa e seriosa come si confaceva ad una donna del Sud di una certa eta’ . Era molto parca nel voto , nel senso che si teneva “bassa” . Non è che io la aiutassi molto a  migliorare questa sua propensione , specialmente quando mi interrogava sulla storia dell’ antica Grecia o dell’antica Roma  , la Divina Commedia o l’Eneide , mi rifacevo pero’ nei temi e a quel punto la mettevo in seria difficolta’ . Ricordo i suoi voti ( con piacere) che andavano dall’ otto al nove e mezzo ( le sue parole? Il 10 in Italiano non esiste  , ci sono sicuramente degli errori che mi saranno sfuggiti ) Gli unici errori che facevo erano quelli che troverete qui ,il “ma” oppure la “e “ dopo la virgola o il punto  e inezie del genere , che pero’ farebbero inorridire un “purista”. Ma io sono cosi’ sono un istintivo, non sto scrivendo un racconto ,  non sto scrivendo un articolo  io sto per raccontare le mie emozioni e percio’ uso l’Italiano che voglio.
Io sono romano ma mi pregio di avere  origini aquilane . Piu’ precisamente sono un oriundo : Cabbia per parte di padre , Cesaproba per parte di madre , Marana per parte di nonna materna , Scai per la nonna paterna . Mi è sempre piaciuta la storia , piu che altro quella nascosta , non scritta , quella fatta dai piccoli grandi uomini ,quella che  è nel cuore della gente , quella di cui  la “nostra “ terra  è ricchissima .Ma la storia solo raccontata , nonostante sia pulita e senza secondi fini presenta a volte delle clamorose lacune .Nomi dimenticati e  imprecisione nel racconto spesso dovuti alla veneranda eta’ dei narratori occasionali. Ma mentre per le storie “generiche” non ci si fa caso, per storie in cui gli uomini hanno perso il loro bene piu’ prezioso e cioe’ la vita questo non è accettabile , in quel caso il nome non si puo’ dimenticare , provo un netto rifiuto a pensare che su una lapide si sia dimenticato o sbagliato un nome(e di errori purtroppo ce ne sono). Per questo motivo nell ‘ estate del 2007 mi sono messo alla ricerca dei Caduti dei paesi a me piu cari : Cabbia e Cesaproba . Ho voluto sapere chi fossero , di chi erano figli , dove e quando sono morti , quali fossero i reparti di appartenenza quali le decorazioni avute. Nel 2010 la prima sorpresa clamorosa , nella Battaglia della Montagnola in zona Laurentina (Roma) perse la vita Giammarini Loreto di Cabbia . Un breve cenno di storia : mentre i tedeschi ripiegavano su Roma in seguito alla battaglia di Anzio i pochi militari di stanza alla Cecchignola organizzavano una prima disperata difesa alla citta’.Buona parte erano stanziali ,cioe’ non operativi ed erano dicevo pochissimi .Mentre si trovavano sui luoghi dove dove avrebbero dovuto passare i tedeschi e dove quindi si sarebbe svolta la battaglia ,si videro raggiungere dai civili della zona .Non erano partigiani ,erano gli abitanti del quartiere , erano  donne ,  anziani e  bambini ,i piu senza neanche un arma ,erano armati di coltelli ,sassi e bastoni mentre le suore organizzavano un improvvisato ospedale da campo ( si fa fatica credere che siano stati i nostri genitori,noi che ci giriamo e facciamo finta di non vedere neanche uno stupro o un pestaggio). Non successe come nei film ,non arrivo’ il 7° Cavalleggeri agli ordini del Generale Custer a mettere a posto le cose,arrivarono i tedeschi e si scateno’ l’inferno .Mentre dei civili , dopo avere attaccato un convoglio erano in fuga inseguiti dai tedeschi , a rischio della sua vita Giammarini Loreto apri’ il cancello del cantiere dove faceva il guardiano per permettergli di salvarsi,ma fu raggiunto da una raffica e fu gravemente ferito . Mori’ nella notte cosi’ , da silenzioso eroe. Di questo comunque postero’ l’articolo completo con nomi date e fatti e non lo commentero’,non ne sarei all’altezza.
                                                                                                                                                                                                                                                                  Carlo GIAMMARINI


domenica 25 settembre 2011

L’AQUILA : Una storia importante.


Nonostante la nascita sia databile certamente tra il 1229 e il 1234 in un periodo storico quindi relativamente recente e limitato , oltretutto abbastanza prodigo di documentazioni ,le origini della citta’ sono incomprensibilmente  ammantate da una spessa coltre di mistero. Perche’ la storia della citta’, progettata da Federico II chiamato dai suoi contemporanei lo Stupore del Mondo, che è stata sede del Papato con Celestino V e quindi al centro della Cristianita’ ,viene destinata all’oblìo ? Perche’ è stata nascosta la storia di una citta’ voluta dai Cistercensi e dai Templari ,in cui ci sono tracce del Priorato di Sion ,la citta’ dai mille simboli in cui si dice siano stati e forse lo sono ancora, custoditi il mitico Graal e l’Arca dell’Alleanza , la citta’ di cui scrivono con grande ammirazione e deferenza Dante , Leonardo , Petrarca e Macchiavelli? Chi ha voluto e , soprattutto per quale motivo nascondere una storia cosi’ importante? C’è stata un opera di “bonifica”nel corso dei secoli ma non tutto è stato cancellato, non sarebbe stato possibile. L’Aquila deve reclamare con forza la sua Storia .E’ importante . Adesso piu’ che mai.

lunedì 19 settembre 2011

La citta' di Federico II

(da Le 100 Citta' D'Italia 1920 circa )

La Conca Aquilana (alta valle dell'Aterno) è chiusa a nord e a sud dai vasti gruppi del Gran Sasso e del Velino-Sirente con le loro ramificazioni. Una collina, propaggine del gruppo del Gran Sasso, avan­zandosi nella pianura, va quasi a toccare l'opposto gruppo  del   Velino-Sirente,   lasciando solo   lo spazio necessario per il letto del fiume. La conca resta così divisa in due parti, una orientale ed una occidentale. Nell'antichità Romana, vivevano in quest'altipiano i Sabini nella parte occidentale, ed i Vestini nella orientale.   Centro della  popolazione Sabina   dell'altipiano era la città di Amiternum, patria dello storico Sallustio Crispo, della quale restano copiosi ruderi (il teatro, l'anfiteatro, le catacombe). Centro dei Vestini era Furcona, della quale non restano nemmeno le rovine, e di cui la posizione ancor oggi non venne identificata  con sicurezza Più lungi dei Sabini, in territorio Vestino, era un'al­tra notevole città, Peltuinum, di cui anche oggi re­stano  molti  ruderi (principalmente  dell'anfiteatro).
Che Amiternum e Furcona fossero due importanti città  ci   è   attestato  e  dalla tradizione   rafforzata   da numerosi cenni storici, e dalle copiose rovine che restano dell'una di esse, e specialmente dal fatto che ciascuna fu fin dai primi tempi dell'era cristiana e rimase per molti secoli sede vescovile (il vescovo for­conense esisteva  ancora   nel   1257).
Per effetto delle invasioni (le quali forse qui non furono numerose; ma che ad ogni modo dovettero trovare ostacolo fortissimo nell'asprezza dei monti e perciò ristagnare nelle ubertose regioni circostanti), del tempo, forse dei terremoti, della decadenza gene­rale dei secoli successivi alla caduta dell Impero d'oc­cidente, e più specialmente della tendenza a ritrovare nell'opera agricola fonte di vita e di lavoro che si verifica nei secoli dell'alto medioevo, queste due città decaddero. Esse videro a poco a poco scemare, poi sparire gli abitanti, cadere in rovina le proprie mura e i propri edifici. Anche in queste regioni si verificava la ferrea legge sociale e storica che sembrava voler distruggere assieme a un mondo cancrenoso una ci­viltà splendente; ma non faceva che inabissare quello per avvicinare questa, vitale ed eccelsa, al futuro. In questo modo gli Amiternini ed i Vestini di Furcona e di Peltuinum si dispersero per tutta la Conca Aquilana.  I secoli, in cui si diradano le te­nebre dei tempi tristi e che in sé contengono la sublime primavera italica trovano il nostro altipiano dis­seminato di castelli situati general­mente su monti e su colli erti. Il loro numero è grande ai tempi del do­minio svevo; la tradizione lo porta a novantanove,   forse  superiore   al vero, ma di poco. Ancor oggi girando per i dintorni dell'Aquila si resta colpiti dalla enorme quantità di castelli diroccati che si incontrano, molti in località impervie e pittoreschi  nelle loro rovine.



domenica 18 settembre 2011

Dai Castelli al baluardo cittadino

(da Le 100 Citta' d'Italia 1920 circa)

L'Imperatore Federico II, nelle sue diuturne lotte col papato, dovette aver campo di accorgersi della poca opportunità di un simile stato di cose; novanta­nove castelli potevano, non ostante la loro posizione quasi sempre invidiabile, essere conquistati facilmente ad uno ad uno. Se al contrario tutti fossero stati riu­niti in un unico fascio di forze, formando una città baluardo in un punto strategico, l'impresa si sarebbe presentata molto più difficile. Inoltre questa zona era ai confini del regno, e ne costituiva la chiave per un esercito che muovesse dal settentrione o dallo Stato della Chiesa. La storia dei secoli successivi conferma pienamente questo  ragionamento.
Per tanto, e forse anche per togliere di mezzo de­finitivamente alcune antichissime pretese del Papa sui contadi Amiternino e Forconense, Federico II sta­bilì di sopprimere i numerosi castelli dei contadi ed i nomi di Amiterno e Forcona, e di fondare una nuova città, che dovesse costituire la rocca forte del regno verso il confine pontificio. La collina che divide in due l'al­tipiano Aquilano e Io domina in ogni senso fu dall'Imperatore scelta come sede del nuovo centro'. Su di essa, in posizione tale da dominare il passaggio lungo il fiume nella strettissima valle sottostante, esiste­va già il castello di Aquila o Ac­quili : per questo o per altro motivo (v. appresso) alla nuova città fu dato il   nome di  Aquila.
Esistono ancor oggi tre copie di un diploma con cui Federico II ne ordina la fonda­zione. Le copie sono però « sine die et consule» e risultano chiaramente posteriori all'epoca degli Svevi. Federico li morì prima di attuare il suo piano; questo fu  compiuto dal  suo  successore  Corrado  IV.
Su di un colle che domina il Tevere, al confine dei Latini e dei Sabini, sorse una città, che, fondendo in sé   i   germi   delle  due  stirpi   diverse,   era  destinata   a fare  dell'antico mondo una unica pàtria,  unica nella Valva  era Sulmona citta’ dei Peligni vicino a Corfinium e civilta’,nel diritto,nella lingua e ad imprimere su cose e uomini quel suggello  imperiale ed augusto di la tinità che ancor oggi non è completamente cancellato. Non nata a sì grandi destini, l'Aquila sorse per le stesse condizioni sociali e naturali ripetutesi nel tem­po : su di un colle dominante un fiume, a confine di due popoli, già sabino  uno e già umbro-sabellico l'altro, riunendo in sé i germi di ambedue. La gran­dezza dell'una ed il suo superbo destino non sono forse disadatti a spiegare, tenuto conto di condizioni storiche e di civiltà diverse e di tempre umane dis­simili, come la fortezza del Cesare germanico, do­vesse divenire in breve tempo nell'epoca gloriosa e grandiosa della Rinascenza, dopo Napoli, la più bella e la più fiorente città del Reame.

Come la citta' sorse

( da Le 100 Citta’ d’Italia 1920 circa)

Per tanto l'Aquila sorse in guisa del tutto singolare. Gli abitanti di questi castelli, siano essi novantanove o poco meno, si trasferirono in tutto o in parte entra le nuove mura, tracciate a disegno di aquila con ali appena aperte, come a dispiegare un volo, capaci di contenere la popolazione numerosa di una metro­poli. Agli abitanti di ciascun castello fu assegnato un rione o locale, ed in breve ogni rione ebbe una piazza e su ogni piazza sorse, per opera di quegli stessi me­ravigliosi artefici che crearono un manto candido di nuove costruzioni a tutta l'Italia, la chiesa e la fon­tana; nella chiesa, intitolata al protettore stesse del loro paese, gli abitanti trasportarono tutte le loro sa­cre memorie e reliquie, onde l'unità nuova voluta da Federico II ne risultò ben salda, fondata sulla pas­sione, sull'amore, sulla religiosità di tutte quelle po­polazioni.
La città era divisa in quattro quartieri e ciascun quartiere in media in una ventina di rioni (e proba­bilmente in altrettante parrocchie). Questa formazione e questa struttura appariva molto singolare anche agli occhi dei contemporanei (Cfr. Muratori, Rerum Italie; Parte  I,  Tomo 3). Per questa parte della storia dell'Aquila si dà gran peso al diploma di Federico II. Ma diversi studiosi, e fra questi alcuni autorevoli, dubitano della auten­ticità di esso, sicché tutto il periodo della fondazione della città e quello successivo ne restano scossi.
In pochi anni di vita la città acquistò notevole im­portanza; nel 1257 il Papa Alessandro IV trasferì al­l'Aquila il vescovo di Forcona, ordinando che questi da allora in poi si intitolasse vescovo dell'Aquila.
Non eran trascorsi molti anni dalla fondazione e le costruzioni non erano ancora al fine, quando la prima grande sventura si abbattè su la giovanissima città : Re Manfredi, adirato contro gli Aquilani che nella letta del tempo pendevano dalla parte del Papa, piombò sulla città e le diede il guasto risparmiando tuttavia la vita ai cittadini. L'Aquila, per necessità di cose e per tenacia dei suoi recenti fondatori, ebbe la  forza di  risorgere dalle rovine.
Spenta la dinastia sveva con l'ultimo inutile sacrificio di Corradino, gli Angioini ebbero il campo nel mezzogiorno d'Italia : la loro sovranità quindi s'estese alla città dell'Aquila.

Esaltazione al papato di Pietro dal Morrone

(da le 100 Citta' d 'Italia 1920 circa)
Nell'anno' 1294 nel conclave tenuto a Perugia i voti di quasi tutti i porporati si raccoglievano sul nome dell'umile eremita, che viveva santamente i suoi giorni alle falde della Maiella, Pietro del Mor­rone. Questi veniva dal suo rifugio condotto nella città nuova e bianca tra gran festa di popolo. Nella meravigliosa basilica di Collemaggio (la cui fonda­zione è dalla leggenda ricondotta ad una visione dello stesso Pietro del Morrone) seguì il 29 agosto la incoronazione del Santo Pontefice. Dopo la fastosa cerimonia cui intervennero, oltre il collegio dei car­dinali, il Re di Napoli Carlo II, suo figlio Carlo Martello Re d'Ungheria, e più di 100.000 persone, il no­vello erede di Pietro si recava alla sede del suo pon­tificato cavalcando umilmente un asino e in povere vesti, come era occorso al Redentore stesso: ma le briglie, nell'attraversare la città festante, erano rette dal Re di Napoli e dal Re d'Ungheria.
Questo augusto evento procurò agli Aquilani da parte del Re Carlo II il perdono per alcune loro man­canze e la concessione di molti importanti privilegi. Pietro del Morrone assunse il nome di Celestino V. « Per verità negli annali della Chiesa il suo pontifi­cato somiglia ad una pagina di calendario di santi o ad una poesia con cui il Medio Evo prende commiato dalla storia » (Gregorovius, Storia di Roma nel Medio Eoo, libro X, Cap. V). Egli col nome di S. Pietro Celestino fu canonizzato nel 1313, e le sue sacre spo­glie riposano nella basilica su detta, che secondo la leggenda era stata da lui fondata ed in cui era stato consacrato Padre dell'umanità.
Da questo santo si intitolano i monaci Celestini, che ebbero notevole diffusione nei secoli successivi, in Italia e all'estero, ed il cui Abbate Generale risie­deva nella medesima insigne Basilica, chiesa madre dell'ordine.
L'Aquila, sorta ne] tempo in cui finivano per dis­solversi le due signorie imperiale e papale, partecipò alle vicende gloriose o tristi dei liberi Comuni d'Italia. Base dell'ordinamento suo furono in principio i liberi statuti municipali, che, riuniti in un unico corpo nel 1315, ebbero sempre ampliamenti ed utili riforme. Ma nel 1355 lo statuto venne profondamente mutato; al Governo dei 68 del precedente ordinamento fu sostituito un Magistrato composto di un Camerlengo e di cinque rappresentanti delle cinque arti (arte dei letterati, della lana, dei metalli, delle pelli e dei no­bili). Questo Magistrato municipale stava in carica in origine due mesi, in seguito di più. Ad esso si con­trapponeva il capitano di giustizia, rappresentante del potere regio.

L'assedio di Braccio da Montone

(da Le 100 Citta' d'Italia 1920 circa)

Poco dopo il principio del secolo XV una dura prova attendeva l'Aquila. Braccio da Montone, quegli che ebbe fama di essere il più grande condottiero del secolo XV, era stato nominato dalla Regina Gio­vanna I governatore degli Abruzzi. Ma l'ambizione del venturiero non era paga; egli aspirava alla si­gnoria dell'Aquila e, seguendo l'esempio di ciò che altri avevano operato ed operavano, provocò una guerra con questa città. La Regina Giovanna chiamò allora al suo servizio Attendolo Sforza, perchè gli si opponesse : così questa guerra perdeva il suo origi­nario valore di fazione di conquista, per acquistare un importanza più che regionale, nazionale. In fatti, come i due partiti militari Sforzeschi e Bracceschi, si trovavano a fronte, così si cimentavano i due princìpi dell'indipendenza comunale da un lato, della prepon­deranza militare dell'altro, e questa tenzone era per produrre effetti vari e notevoli. L'Aquila rimase as­sediata da Braccio per più di un anno; gli aiuti della Regina Giovanna andarono perduti, poiché lo Sforza,  nel venire in soccorso all'Aquila, si era annegato nel Pescara. Sembrava, per le condizioni di vita che si facevano ogni giorno più tristi,  che da un momento all'altro la città, in cui non erano rimasti se non gli uomini   atti  alla   difesa,   dovesse   capitolare,   quando gli Aquilani guidati da Antonuccio Camponeschi, nobile figura di cittadino e di soldato, assalirono l'eser­cito Braccesco e lo sconfissero. L'Aquila fu salva : ; Braccio morì di ferite due giorni dopo quest'ultima in una     mischia.   Così   questa   guerra   per  l'Aquila   costò   la vita   dei  due  più  grandi  condottieri   del   secolo XV. E questa l'epoca in cui la città raggiunse il massimo del suo splendore. Benché legata strettamente alle sorti   mutevoli  del   Regno  di   Napoli,   di   questo   non subiva il dominio, ma godeva la protezione; nelle lotte  per la corona del reame l'Aquila seguì  or le sorti di un  competitore,  ora dell'altro,  sempre Conseguendo nuovi privilegi e crescendo in fama ed in potenza, fino a divenire, dopo Napoli, la più impor­tante città del Regno.
La ragione di questo specialissimo trattamento che veniva fatto all'Aquila dai re Svevi ed Angioini deve ritrovarsi e nella situazione munita ed importantissima di essa che, nata città di difesa, divenne inconquista­bile per provvido destino ai suoi stessi dominatori, e nella natura democratica del suo reggimento, la quale ai Re offriva un saldo appoggio contro il par­tito feudale, ai popoli sicuro rifugio contro la signo­ria. Di più il contado circostante, di circa cento ca­stelli — forse gli antichi centri onde pel comando dell' imperatore erano mossi gli animosi fondatori della città nuova — e per l'antico vincolo di sangue che non s'era certo perduto ma, conservato, dal ve­tusto comune culto trasportato nella sede nuova, s'era rafforzato nelle recenti battaglie a difesa della libertà comunale contro la signoria. Per la saldezza delle istituzioni antiche che continuavano ad offrire garan­zia di pace e di lavoro, faceva suoi gl'interessi della città, contro la quale non era sorta e non doveva sor­gere competizione, non potendo nessun castello spe­rare lontanamente di eguagliarla in splendore. Tutto ciò faceva dell'Aquila e del contado un'unica civitas e impediva quegli attriti, quelle lotte, che riuscirono fatali ad altri comuni.
Estesi erano i suoi commerci di lana e di seta. I suoi cittadini avevano relazioni commerciali con Fi­renze, con Genova, e con Venezia ed anche con ricche città della Francia, dell'Olanda e della Ger­mania. Essa ebbe da Ferdinando d'Aragona nel 1458 il diritto di aprire una università degli studi, di co­niare monete di rame di argento e d'oro. Nel 1482 vi cominciò a funzionare una stamperia (una delle prime!) per opera di Adamo Rotwil, scolaro del Guttemberg. Vi furono stampati preziosi cimelii. Ancora in questo secolo vivevano all'Aquila ben treSanti; essi appartenevano tutti all'ordine di S. Fran­cesco, e furono S. Bernardino da Siena ed i suoi di­scepoli S. Giovanni da Capestrano e S. Giacomo della Marca. S. Bernardino da Siena, l'apostolo fran­cescano del secolo XV, trovò riposo nella chiesa in suo onore costrutta alcuni anni dopo la sua morte, che è tra i monumenti più insigni della città. San Giovanni da Capestrano, condottiero di una crociata, vinse la battaglia di Belgrado (1456), che tanta im­portanza ebbe per la salvezza dell'Europa dal pe­ricolo dei Turchi. Le varie arti ornarono la città di capolavori insigni di cui oggi moltissimi restano. L'Aquila fu un L'Aquila fu un centro artistico di primo ordine : quivi anche il Rinascimento ebbe a creare uno di quei ri­trovi di liberi spiriti e di fervidi ingegni che tanta in­fluenza ebbero sullo svolgimento della coscienza e della educazione nazionale. Fra i vari mecenati, che appoggiavano col loro fine intendimento artistico le più varie e degne manifestazioni d'arte, va ricordato Jacopo di Notar Nanni che visse sullo scorcio del secolo XV : molte insigni opere si debbono' alla sua scelta e alla sua cura.
Verso la fine di questo secolo (XV) tanto splendore però incominciò ad oscurarsi ed ebbe principio la decadenza. Costituitasi in Italia la dominazione spa­gnola, Aquila fece parte del vicereame di Napoli e ne seguì le sorti per sempre, perdendo ogni ultima traccia di libertà statutaria che, come si è visto, aveva trovato fino' allora terreno opportuno per conservarsi non ostante i tempi cambiati. Attraverso i lunghi anni della tirannide la città venne acquistando quell'aspetto severo, solitario e silenzioso che le è caratteristico. Unica sua forma imperitura di vita rimasero nei secoli le splendide opere d arte che la passione di tante generazioni aveva saputo creare, rispettate miracolo­samente dal tempo, a cui altre ancora dovevano aggiungere  qualche  secolo  più   tardi.
Nel   1529 a causa  del  mal  governo straniero  avvennero grandi disordini. Filiberto d'Orange, viceré di Napoli, si recò immediatamente all'Aquila e le impose una terribile taglia, per pagare la quale fu necessario il sacrificio di tutte le cose preziose che si trovavano nella città, comprese le oreficerie sacre e le casse di argento che contenevano le spoglie mortali di S. Bernardino e di S. Pietro Celestino. La città fu inoltre spogliata di ogni privilegio, e i castelli del contado furono assegnati a vari baroni del seguito dell'Orange. Di più fu imposta ai cittadini la fabbri­cazione, sulla parte più alta della città, del castello, sulla cui fronte fu scritto auguralmente « ad reprimen-dam Aquilanorum audaciam ».
I   primitivi   privilegi ed  i  diritti sul  contado le fu­rono restituiti  poi dall' imperatore Carlo  V,  ma più
formalmente che di fatto; essa non raggiunse mai lo splendore del secolo XV, non godè più dell autono­mia dei secoli scorsi e la sua storia è, da questo mo­mento,  la storia  del   Regno delle Due Sicilie.